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Angelo Paracucchi e la Locanda dell’Angelo

copertina-locanda-dell-angeloNegli anni ’70 agli inizi di questa mia avventura gastronomica che di seguito mi portò alla guida Michelin si parlava di un ristorante importante a Sarzana all’interno di un Motel Agip. Ma come era possibile  mi ero detto che in un Motel Agip ci potesse essere un ristorante da stella Michelin? Erano gli anni del cambiamento, basta polli al forno bolliti ed arrosti e domeniche con la famiglia! Le auto circolavano alla grande ed ai figli poco interessavano i pranzi domenicali in famiglia!

La gestione del ristorante era nelle mani di Angelo Paracucchi uno dei pionieri della nuova cucina italiana, di origini umbre, vagabondo per natura, era entrato a busta paga nelle strutture dell’Eni con un passaggio prima di arrivare a Sarzana al complesso turistico di Pugnochiuso nel Gargano.

Ma l’idea di crearsi il suo locale gli frullava nella testa da tempo, la zona gli garbava visto poi che conosceva il territorio, i fornitori e la clientela. Nasce così a fine anni ’70 la sua locanda, quella dell’Angelo!

Qui, diceva, ha un senso vivere: la gente ti ferma per scambiare quattro chiacchiere, compro dai banchi dei mercatini locali le verdure fresche, quelle dei loro orti, ed i branzini me li portano gli amici pescatori…

Angelo Paracucchi nasce come uomo di sala, si divertiva a cucinare alla lampada, era il modo migliore di comunicare con il cliente esibendosi in giochi di indubbia bravura. Il mettersi la giacca da cuoco fu un atto semplice spronato da due grandi personaggi legati alla gastronomia italiana: Luigi Carnacina e Luigi Veronelli che lo portò anche in televisione.

Anni certamente di forti cambiamenti, bussava alla porta la ventata della nuova cucina italiana: basta panna e gamberetti in salsa rosa, si usciva dagli schemi e si proponevano piatti più creativi. I dieci comandamenti della nouvelle cuisine erano tutti validi, bastava interpretarli in creazioni dove la materia prima era fondamentale, olio extravergine, verdure dell’orto e pesce fresco.

Fu il primo ad azzardare abbinamenti insoliti, mischiava il dolce al salato e combinava la frutta con i piatti di pesce, oltre ad inserire nuove consistenze con le sue salse di verdure, e a valorizzare l’olio di oliva extravergine, e promotore di quella che in seguito venne definita “dieta mediterranea”. L’estetica non era quello che cercava nel piatto, il bello diceva era nella freschezza, nei colori, nelle cotture. Lo chef non deve essere un artista ma rispettare le caratteristiche delle componenti del piatto stesso, ma su tutto il gusto.

Il successo fu immediato, mi ricordo la sala sempre piena anche a mezzogiorno, la sua cucina piaceva: non troppe fantasie estreme ma la qualità della materia prima di ogni altro aspetto. Da lui crescevano i ragazzi che di seguito arrivarono a livelli alti, insomma un grande maestro della ristorazione italiana. Era comunque un passionale aperto e diretto e non te lo mandava a dire, umbro sino al midollo!!

Non mancava di polemizzare sul fatto che all’epoca tutti parlavano di Gualtiero Marchesi come padre della nuova cucina italiana (premiato con le tre stelle Michelin) mentre lui, che si era fermato al solo macaron, non aveva particolare considerazione.

Trent’anni di cucina vuol dire per Angelo creazioni anche estreme per quell’epoca, ricordiamo gli spaghetti allo zenzero, o la razza con il tartufo nero, e l’anatra con le more e tanti altri. Ma curioso anche di cucine internazionali porta diversi elementi di queste cucine nei suoi piatti, la tempura ad esempio.

Non si fermò alla Locanda ma fu uno dei primi Italiani ad aprire delle filiali all’estero, a Parigi inaugurò il Carpaccio ed a Osaka l’Angelo Paracucchi restaurant.

Poi per Angelo arriva il momento di togliersi il grembiule e uscire dalla cucina. Avvenne abbastanza improvvisamente: ritorna a Trevi in Umbria nella terra delle sue origini, lasciando al figlio la conduzione del suo ristorante e in cucina coloro che lo avevano accompagnato fino a quel momento. Prima di morire esce la sua ultima fatica “La cucina fra creatività e tradizione” che può considerarsi il testamento della sua filosofia culinaria.

Fausto Arrighi




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