di Alessandra Meldolesi
È l’indirizzo preferito di Alain Ducasse e Guy Savoy, quando scendono in Costiera: sarà per quella terrazza che avanza sul porticciolo azzurro di Amalfi, con la spiaggetta privata per gli aperitivi e la ristorazione veloce; sarà per una cucina che più verace non si può, capace di catturare il genius loci sulle bancarelle del mercato. Quando i coniugi Pisani lo acquistarono, non era che una pizzeria senza troppe pretese. Rientravano da Parigi, dove avevano fatto catering, e Maria si mise subito in cucina da autodidatta totale.
Da allora pian piano l’offerta è cresciuta. Ci si è messa di mezzo anche la mareggiata del 1987, che ha costretto a sostituire le vecchie palafitte con l’odierna terrazza, separata dalla saletta attraverso un muro limpido di vetro. Ed è lì che Antonio Pisani, che oggi guida la cucina, è cresciuto, affiancando via via la mamma ai fornelli. La cura nel servizio è cresciuta insieme all’attenzione per l’impiattamento e ai volumi della carta dei vini, che oggi sfiora le 800 etichette, tutte italiane, in larga parte della Costiera.
“La cucina resta molto semplice, ma di grande qualità”, assicura Antonio. È fondata sulla selezione delle materie prime a chilometro zero e del pescato in particolare. “Perché la gente cerca quello: alici, totani, pesce bandiera, uno spaghetto al pomodoro. Tutto stagionale. Stamattina per esempio c’erano gli scampetti e i calamaretti. Sono io ad acquistare quotidianamente dai pescatori e in pescheria: scelgo solo pesce pescato all’amo, che arriva a terra vivo, non strapazzato nelle reti; delle alici l’ultima calata, che non viene buttata in ghiacciaia. Dettagli che fanno la differenza. E tutto ciò che cuciniamo è preparato da noi”.
Secondo la tradizione dei luoghi, però, anche il vegetale fa la sua parte. Il ristorante ha il suo orto, alle cui cure Pisani si è dedicato durante il lockdown, seminando con i figli, e supplisce al resto con i contadini dell’entroterra. Vedi le melanzane con il cioccolato o la parmigiana anche di zucchine con la salsa di pomodoro fatta in casa, perché nelle vene scorre sangue nocerino. Poi c’è qualche piatto di carne, come la genovese, ancora eseguita secondo la ricetta di mamma Maria, che ogni mattina, racconta Antonio, passa, sgrida e se ne va. Poi ci sono la moglie Simonetta all’accoglienza, i figli Raffaele, che dà una mano in estate, e Maria Chiara in sala. Perché Lido azzurro è rimasto un ristorante familiare.
La riapertura è caduta il 6 giugno, quando le regole e l’atmosfera hanno consentito un po’ di respiro. Senza patemi, perché si lavora con la clientela italiana e locale, che Antonio non ha mai trascurato. “Ma non ci sono novità in carta, perché noi non ci ripetiamo mai. Ripartiamo ogni mattina da zero, come a casa, secondo il mercato”. Ed è sempre Antonio a organizzare qualche visita per i suoi ospiti: “Faccio vedere le cartiere, il museo civico, la cattedrale”.
Foto dalla pagina Facebook