Sembra che sia passato un secolo ma cosi poi non è.
Bisogna comunque tornare alla fine degli anni 70 per iniziare a raccontare la storia di un uomo che, nella ristorazione italiana, ha lasciato una traccia decisamente importante.
Era l’inizio della nuova cucina italiana, gli anni di Gualtiero Marchesi che con il suo raviolo aperto aveva dato una sferzata a quella che doveva essere l’inizio di una nuova ristorazione.
Franco Colombani fu il fondatore nel 1980 del movimento Linea Italia in Cucina, una linea di resistenza alle nuove mode, una protezione, o meglio, una linea di demarcazione alla ”nouvelle cuisine”: il nuovo che avanzava.
Non era il solo ovviamente, lui era il leader, ma dietro di lui una schiera di cuochi e ristoratori padani come Antonio e Nadia Santini del Pescatore di Canneto, il Bersagliere di Goito di Roberto Ferrari, il Ceresole di Cremona senza dimenticare il Peppino Cantarelli. Ma anche Romano di Viareggio della bellissima coppia Romano Franceschini e Checchi Franca, il Boschetti di Tricesimo e mi fermo qui. Il loro motto era: MAI SEGUIRE LE MODE…
Cantarelli allora era il trattore bistellato, il guru parmense difensore della cucina del territorio (anche se la sua cantina sentiva di terra francese), ribadiva il concetto di non sentirsi obbligati a cambiare la loro cucina come stavano facendo i cugini francesi. Preferiva pensare a ritroso nel tempo per venire alle origini dei piatti del territorio.
Franco gestiva con la famiglia una piacevolissima trattoria, La locanda del Sole a Maleo, conosciuta nei mappali sin dal lontano 1464: lui ci entra nel 1958 ma era della famiglia da quasi cent’anni, ci entra dopo aver lasciato l’università nel ruolo di sommelier (di grande spessore) e gestore della sala, la moglie Silvana in cucina.
Fu un vero successo non solo economico, la frequentavano personaggi importanti come il grande giornalista Gianni Brera. Lui ed i suoi amici finivano le serate con partite a briscola e tresette che terminavano a notte fonda dopo aver bevuto buonissime bottiglie di grandi vini piemontesi. Fu rientrando appunto dalla Locanda del Sole che trovò la morte in un tragico incidente automobilistico il Brera.
Cultore della cucina Italiana mise a disposizione la sua biblioteca ricca di volumi storici di cucina a tutti quelli che desideravano prendere spunti per le loro ricette.
L’ambiente era quello tipico della “cascinotta” di paese con il porticato interno dove nelle serate estive si cenava sotto il volo delle rondini che approfittavano delle ore serali quando gli insetti in volo diventavano cibo per i loro piccoli. Bucolica atmosfera!! Nel periodo invernale poi si cenava a volte attorno ad una tavola conviviale forse uno dei primi a pensarla, e una delle altre caratteristiche era la rifinitura di alcuni piatti su una vecchia stufa in sala, direi un prototipo delle cucina a vista attuali.
Si mangiava lumbard, come la cucina della nonna, minestroni profumati, la zuppa di cipolle, lo stracotto, e nei periodi invernali quando la galaverna imperava nei nostri orti riso e verze e cotechini vaniglia.
Ho nella mente alcuni ricordi come la sua arrabbiatura quando mi rinfacciò che gli ispettori della Michelin prendevano come secondo piatto lo stracotto con polenta che era poi il piatto dell’associazione del buon ricordo, con un “ostia, quando venite voi della rossa sempre quel piatto mi prendete, faccio anche altro!” Ma era casuale la cosa. Fu invece un triste ricordo quello che vissi una settimana prima che lui si tolse la vita. Dopo un periodo decisamente buio con la separazione dalla moglie, dopo aver subito un furto nel locale, dopo altre vicissitudini che mi stava raccontando pareva vi fosse un inversione di tendenza, forse le cose stavano andando nel verso giusto. Aveva una nuova compagna e questo gli dava nuova linfa. Sarebbe sicuramente ritornata la stella l’anno successivo.
Parlammo mezzora sulla porta del locale sotto un caldo sole, mi raccontava di tutto questo, ma di fronte a me avevo un uomo stanco, forse come scrissi nella mia relazione “alla canna del gas!”.
Se ne andò un lunedì di maggio del 1996 in maniera tragica, lasciando un biglietto con su scritto le sue semplici e ultime volontà.
I pantaloni ed il maglioncino da mettergli per l’ultimo viaggio, l’impresa di pompe funebri da non servirsi e di esporre il proprio feretro proprio sotto quel porticato, segno di vita dove le rondini nidificavano da sempre.
Fausto Arrighi