Il cibo a Napoli ha sempre avuto un aspetto filosofico capace di andare ben al di là della necessità fisiologica. Anche osservando il mondo del teatro, è facile notare come gli elementi della cucina e del convivio domestico, regolari o sognati, ricchi o poveri, rimangono nel tempo diffusamente utilizzati. Basta ricordare la farsa “Miseria e Nobiltà” di Scarpetta in cui Don Felice Sciosciammocca e gli sfortunati familiari Pasquale, Concetta e Pupella, in preda alla più nera della miseria, si avventano su di una zuppiera di vermicelli giunta quasi per soprannaturale volere. E ancora, parlando di Eduardo, basta pensare al caffè e alla frittata di cipolle di “Natale in casa Cupiello”, alla tostatura a manto di monaco di “Questi fantasmi” e al ragù di ”Sabato, domenica e lunedì”. Anche ne “Il Sindaco del Rione Sanità” il maggiore dei De Filippo non esita a inserire il momento del convivio così come in “Napoli Milionaria”, unendo al “mangiare” le inquietudini del piccolo mondo familiare e dell’umanità.
Giuseppe Giorgio