di Alessandra Meldolesi
Non è solo archeologia, Paestum. Ed è in un’oasi naturalistica a pochi passi dai templi, che serba invero tracce di un luogo di culto dedicato a Persefone, che ha sede il ristorante Le Trabe, sulle rive dell’omonimo fiume ai piedi del monte Calpazio. La sua corrente ha alimentato i mulini dei monaci benedettini, prima che gli imprenditori Antonio e Raffaele Chiacchiaro ne sfruttassero l’energia green per la loro tenuta, compreso il ristorante che ha sede in una vecchia casa colonica. Nel 2012 è arrivata la prima stella del Cilento, che è stata confermata anche dopo l’arrivo nel 2018 dello chef Marco Rispo, allievo di Alfonso Iaccarino con esperienze al fianco di Fernando Arellano e Marco Sacco. Con lui in brigata militano il secondo Carmine Mazza e il pastry chef Felice della Corte; in sala il maître Francesco Grimaldi e il sommelier Simone Monzillo, che punta a valorizzare senza esclusivismi i vini campani.
“La mia è una cucina di territorio improntata alla riduzione degli ingredienti, che lavora sulla memoria gustativa. Al suo servizio è una tecnica a 360 gradi, con un uso consapevole del sottovuoto, della distillazione, per eliminare le impurità, e delle estrazioni che catturano la quintessenza della materia, ottenendone glasse”, spiega Rispo. “Qui nella tenuta produciamo la farina per la pasta, i taralli e il pane, l’olio e le verdure dell’orto. Quindi la stagionalità prima di tutto, anche con riferimento al pesce, che un paio di volte a settimana andiamo a prenderci a San Marco di Castellabate, dove alle 5 arrivano i pescherecci. Quello che troviamo, quindi tanto pesce azzurro, dalle alici agli sgombri”.
L’apertura è scoccata il 2 giugno con alcune novità che si proiettano nel 2021. Innanzitutto le Trabe a casa tua, format dove una parte del ristorante, intesa come cuochi e personale di sala, si sposta in una location privata. Poi la sfida del catering, oltre al banqueting interno. I menu degustazione restano due, da 4 corse di carne o pesce oppure da 8 miste: si chiamano 081, come il prefisso di Napoli, con piatti che ricordano la formazione non solo campana dello chef; e Caput Aquae, ispirato all’elemento che meglio caratterizza la tenuta, più pestano. Vi spuntano i signature di Rispo: lo Spaghetto bufalo bufalo bufalo, Vicidomini con burro, siero e ricotta affumicata, tutti di bufala, più una spolverata di pepe; il GPS, piatto che localizza istantaneamente l’ospite con la massima esattezza, composto di latte di bufala cagliato, ricci di mare e pane alle alghe; il pollo allevato a cento metri dalla tenuta, disossato e arrostito intero, con la coscia ripiena di pane e pecorino, le alette fritte, la purea di patate di Castelcivita e un cioccolatino di rigaglie alla paprica e fiore di sale.
Ma non mancano le new entries. “Durante il lockdown ho lavorato sulle farine di nostra produzione, per perfezionarne l’uso. Poi ho pensato ai nuovi piatti, come lo sgombro con purea di ceci, zeste di limone e arancia, cappero e garum di sgombro preparato con le parature. Oppure il plin di salsiccia pezzente e melagrana distillata in casa, il calamaro che prepariamo con lampone e diaframma di vitello e la melanzana sott’olio, pressata per 48 ore in modo da scaricare l’acidità della cottura, messa sott’olio e strizzata con il sottovuoto, in modo che si impregni, impanata infine con la polvere della sua buccia e accompagnata da una riduzione caramellata di succo di melanzana e una crema d’olio di conserva, per un esito leggermente piccante”.
Tutt’intorno la zona beneficia di un turismo non solo internazionale, quindi la situazione è positiva, confida Rispo, con l’eccezione dell’eventistica. Oltre al sito archeologico, patrimonio Unesco dal 1998 insieme al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, riserva della biosfera dal 1997, e alla Certosa barocca di Padula con il suo museo archeologico, merita una visita la Madonna del Granato, santuario eretto nel X secolo che sovrasta la tenuta.
Marco Rispo, passione e talento
lug 16, 2020Gusto MediterraneoNews
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