Anche Salvatore Di Giacomo nel suo famoso dramma “Assunta Spina”, non resiste alla tentazione di indicare durante l’evolversi della sanguinosa storia, dolci, ristoranti e piatti di una Napoli passionale e popolaresca. Ambientata nei primi anni del ‘900 e scritta nel 1909, la vicenda di Assunta Spina (una ragazza proprietaria di una stireria, il cui fascino, tra gli altri, attira l’attenzione del violento macellaio Michele Boccadifuoco suo fidanzato e del vice cancelliere al Tribunale, Federico Funelli) vede diverse volte fare l’ingresso nel copione, di luoghi e specialità in auge tra i napoletani di quei tempi. Ed ecco allora, tanto per iniziare nell’elenco, che uno dei personaggi della drammatica storia, la levatrice Donn’Emilia, offrendola all’intraprendente Funelli, cava di tasca della cioccolta che definisce «Sciusciarre». Un nome deformato dal dialetto napoletano che porta subito alla mente l’omonima fabbrica di cioccolato “Suchard”, fondata nel 1826 a Serrières dal cioccolatiere svizzero Philippe Suchard e ancora oggi esistente. A seguire, è sempre la prolissa popolana a parlare del ristorante “Pallino”. Un celebre locale del Vomero nato intorno al 1840 con Nicola Micera, cuoco pugliese che servì prima i Borbone e poi tutte le famiglie nobiliari napoletane, così chiamato per la sua forma fisica. Continuando nella carrellata sulle delizie per il palato indicate da Salvatore Di Giacomo nel dramma portato anche in cinema nel 1915 con Francesca Bertini, a scendere in campo sono pure i gelati e le «zeppole» di San Giuseppe. Giunti alla terribile cena finale, prima dell’incontro mortale tra Boccadifuoco e Funelli, ecco infine che, nella descrizione fatta dallo stesso autore, a comparire sulla tavola della venticinquenne e sfortunata Assunta, sono la genovese rifredda e la mozzarella.
Giuseppe Giorgio