Presentata al Teatro Quirino di Roma nel 1959, la commedia di Eduardo De Filippo, “Sabato, domenica e lunedì” , oltre a mostrare un fermento contestatario e un’anticipazione sul divorzio in Italia, mette a confronto i rappresentanti di tre generazioni. Ed è tra nonni, figli, nipoti e due coniugi in crisi, che a farsi avanti come emblema dei sentimenti umani e dei costumi, sono la tavola e il rito domenicale del ragù di Rosa Priore. E’ la moglie del protagonista don Peppino, infatti, a cercare tra le usanze della confusa famiglia, consolazione nella cottura del famoso sugo. Così, mentre lega il “girello”, il pezzo d’annecchia di cinque chili che dovrà allietare la mensa domenicale e la cameriera piangente affetta le cipolle, donna Rosa va avanti con le sue istruzioni. «Più ce ne metti di cipolla- dice alla domestica Virginia- più aromatico e sostanzioso viene il sugo. Tutto il segreto sta nel farla soffriggere a fuoco lento.Quando soffrigge lentamente, la cipolla si consuma fino a creare intorno al pezzo di carne una specie di crosta nera; via via che ci si versa sopra il quantitativo necessario di vino bianco, la crosta si scioglie e si ottiene così quella sostanza dorata e caramellosa che si amalgama con la conserva di pomodoro e si ottiene quella salsa densa e compatta che diventa di un colore palissandro scuro […] la buonanima di mia madre diceva che per fare il ragù ci voleva la pazienza di Giobbe […] lei usava o il tiano di terracotta o la casseruola di rame. L’alluminio non esisteva proprio. Quando il sugo si era ristretto come diceva lei, toglieva dalla casseruola il pezzo dì carne di annecchia e lo metteva in una sperlunga come si mette un neonato nella connola, poi situava la cucchiaia di legno sulla casseruola, in modo che il coperchio rimaneva un poco sollevato, e allora se ne andava a letto, quando il sugo aveva “peppiato” per quattro o cinque ore».
Giuseppe Giorgio